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Invecchiamento attivo. Il ruolo strategico del datore di lavoro

Il modello italiano sull’invecchiamento attivo attribuisce al datore di lavoro un ruolo strategico, riconoscendogli la responsabilità di adottare misure organizzative e preventive volte a garantire condizioni lavorative sostenibili per i soggetti in età avanzata. Tale centralità si traduce in obblighi specifici, che mirano a favorire ambienti inclusivi e a valorizzare le competenze maturate nel corso dell’esperienza professionale. La sfida attuale consiste nel consolidare tale evoluzione, trasformando l’invecchiamento attivo da principio ispiratore a diritto effettivo, capace di riflettere la complessità delle condizioni di vita e di lavoro nella maturità, e di offrire risposte concrete ai bisogni di una società che, inevitabilmente, invecchia. Siamo ancora in una fase di transizione!

Nel dibattito contemporaneo sull’invecchiamento, si va consolidando una consapevolezza critica che invita a superare una visione meramente biologica della vecchiaia. Il nodo centrale non risiede tanto nell’età anagrafica in quanto tale, quanto piuttosto nello sguardo che la società rivolge a chi invecchia.

Come osserva Ashton Applewhite (“Il bello dell’età. Manifesto contro l’ageismo”, Corbaccio, Milano, 2017), «(…) noi colpevolizziamo il fatto di invecchiare, invece dell’ageismo», evidenziando come la discriminazione fondata sull’età sia spesso più insidiosa e dannosa del processo biologico stesso. Questa prospettiva impone un ripensamento profondo delle politiche pubbliche, orientandole dalla gestione passiva della vecchiaia verso un paradigma fondato sulla promozione attiva della dignità, dell’autonomia e della partecipazione sociale.

In tale direzione si colloca il d.lgs. 15 marzo 2024, n. 29, adottato in attuazione della delega contenuta negli artt. 3-5 della legge 23 marzo 2023, n. 33, e recante “Disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane”. ll provvedimento, entrato in vigore il 19 marzo 2024, rappresenta un tassello significativo nel processo di riforma volto a valorizzare l’invecchiamento attivo ed a prevenire le condizioni di fragilità.

Pur non riconoscendo formalmente un diritto soggettivo pienamente azionabile, il decreto contribuisce alla costruzione di un impianto sostanziale di tutela, articolando misure che investono ambiti fondamentali quali la salute, la partecipazione sociale, l’autonomia abitativa, l’accesso ai servizi e, in maniera particolarmente rilevante, il lavoro. Quest’ultimo assume una funzione strategica, non solo come strumento di inclusione, ma anche come ambito privilegiato per la promozione della salute, della dignità e dell’autodeterminazione della persona anziana.

Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, il presente contributo intende soffermarsi sul tema del lavoro, analizzando in che modo le più recenti evoluzioni normative abbiano cercato di coniugare la permanenza delle persone anziane nel mercato occupazionale con la tutela della salute, della dignità e dell’autodeterminazione. In questa prospettiva, il d.lgs. n. 29/2024 attribuisce al datore di lavoro un ruolo strategico nella promozione dell’invecchiamento attivo, riconoscendogli la responsabilità di adottare misure organizzative e preventive volte a garantire condizioni lavorative sostenibili per i soggetti in età avanzata. Tale centralità si traduce in obblighi specifici, che mirano a favorire ambienti inclusivi e a valorizzare le competenze maturate nel corso dell’esperienza professionale.

L’obbligo di considerare l’età anagrafica nella valutazione dei rischi, l’adozione del modello WHP (Workplace Health Promotion), la sorveglianza sanitaria mirata, la formazione continua e l’adattamento delle mansioni costituiscono strumenti volti a rendere il lavoro sostenibile anche nella maturità (cfr. artt. 4-6, d.lgs. n. 29/2024). Tuttavia, la logica incentivante che informa tali interventi non risulta sempre accompagnata da un corrispondente rafforzamento delle tutele sostanziali.

In particolare, l’assenza di un diritto soggettivo pienamente esigibile - da intendersi come una posizione giuridica attiva che il singolo può far valere direttamente nei confronti dell’amministrazione o del datore di lavoro, anche in sede giurisdizionale, qualora ne venga compromesso l’esercizio - comporta il rischio che la prosecuzione dell’attività lavorativa si configuri non già come espressione di una scelta libera e autodeterminata, bensì come risposta obbligata a condizioni economiche sfavorevoli o a carenze strutturali del sistema di protezione sociale.

Da ciò deriva che il tema del posticipo al pensionamento si intreccia strettamente con quello dell’invecchiamento attivo, configurandosi non soltanto come una misura di natura previdenziale, ma come uno strumento potenzialmente capace di valorizzare la permanenza nel lavoro in età matura.

È opportuno chiarire, tuttavia, che tale misura non rappresenta una novità assoluta nel panorama normativo italiano. Piuttosto, essa si colloca all’interno di una traiettoria evolutiva che ha visto, nel corso degli ultimi decenni, l’elaborazione di diversi meccanismi volti a incentivare la prosecuzione volontaria dell’attività lavorativa oltre l’età pensionabile. Strumenti come il part-time agevolato, le forme di esonero contributivo, i bonus per il mantenimento in servizio e le deroghe ai limiti ordinari di età costituiscono precedenti significativi, che testimoniano una continuità di intenti da parte dei Governi succedutisi nel tempo.

La legge 29 dicembre 2022, n. 197 (art. 1, co. 286) ha introdotto la possibilità per i lavoratori che maturano i requisiti per la pensione anticipata di rinunciare all’accredito contributivo della quota invalidità, vecchiaia e superstiti a proprio carico, ricevendola in forma di integrazione retributiva netta.

Tale previsione è stata successivamente confermata e riformulata dalla legge 30 dicembre 2024, n. 207 (art. 1, co. 161–165), che ne ha precisato il regime fiscale e contributivo. L’obiettivo dichiarato è duplice: da un lato, favorire la permanenza dei lavoratori anziani nel mercato del lavoro, valorizzandone competenze ed esperienza; dall’altro, contribuire alla sostenibilità del sistema previdenziale, riducendo il numero di pensionamenti anticipati. Tuttavia, anche in questo ambito emerge con chiarezza come l’orientamento prevalentemente incentivante adottato dal legislatore non sia affiancato da un adeguato rafforzamento delle garanzie sostanziali. L’assenza di un sistema di tutele giuridiche effettivamente azionabili da parte del singolo - intese come diritti soggettivi pienamente esigibili nei confronti dell’amministrazione o del datore di lavoro, anche attraverso strumenti di tutela giurisdizionale - rischia di compromettere la reale libertà di scelta.

In tale quadro, la prosecuzione dell’attività lavorativa da parte delle persone anziane rischia di non configurarsi come una scelta libera e consapevole, bensì come una risposta obbligata a condizioni economiche sfavorevoli o a carenze strutturali del sistema di protezione sociale. Tale scenario solleva interrogativi rilevanti circa l’effettività delle politiche di invecchiamento attivo e la loro capacità di tutelare, in concreto, la dignità e l’autodeterminazione dei soggetti coinvolti.

La mancanza di una cornice normativa che garantisca l’esigibilità concreta dei diritti connessi alla permanenza nel lavoro aggrava questa tensione, rendendo il prolungamento dell’attività lavorativa potenzialmente coercitivo. Ne deriva un conflitto tra l’intento di valorizzare l’invecchiamento attivo e la necessità di evitare che tale valorizzazione si traduca in una forma di subordinazione mascherata da opportunità.

In questa risposta a questa criticità, il d.lgs. 30 aprile 2025, n. 93 introduce un significativo correttivo, prevedendo un sistema di incentivi fiscali e contributivi per i lavoratori che scelgono volontariamente di proseguire l’attività lavorativa. In particolare, il provvedimento contempla una detassazione parziale dei redditi da lavoro oltre i 66 anni e una maggiorazione figurativa dell’anzianità contributiva fino a 1,5 anni per ogni anno lavorato oltre tale soglia (artt. 3 e 5 d.lgs. 30 aprile 2025, n. 93).

A tali misure si affiancano obblighi rafforzati per i datori di lavoro, in materia di tutela della salute, flessibilità organizzativa e adattamento delle mansioni (art. 6, co. 2). Il decreto interviene inoltre modificando gli artt. 2 e 5 del d.lgs. n. 29/2024, estendendo le politiche di promozione dell’invecchiamento attivo anche ai lavoratori over 60 e, in modo più significativo, a tutti coloro che presentano condizioni di vulnerabilità certificate, indipendentemente dall’età anagrafica.

Come è stato opportunamente osservato, «(…) il diritto all’invecchiamento attivo non può essere ridotto a mera permanenza nel lavoro, ma deve tradursi in un insieme di condizioni che rendano tale permanenza sostenibile, dignitosa e autodeterminata» (R. Casillo, “Invecchiamento e lavoro”, in Federalismi.it n. 19, 2024, p. 6).

Tuttavia, questa visione ampia e inclusiva appare ancora lontana da una piena attuazione nel contesto normativo italiano. L’art. 5 del d.lgs. n. 29/2024 prevedeva che la promozione della salute, della prevenzione e dell’invecchiamento attivo nei luoghi di lavoro fosse garantita attraverso la valutazione dei rischi e la sorveglianza sanitaria, ma limitatamente ai lavoratori che avessero compiuto 65 anni. Questa soglia anagrafica rigida è stata oggetto di critiche sin dalle prime applicazioni del decreto, in quanto escludeva dall’accesso alle misure di tutela una parte significativa della popolazione lavorativa, composta da soggetti che, pur non avendo raggiunto i 65 anni, versano in condizioni di fragilità o di usura lavorativa.

A tale criticità ha inteso rispondere il d.lgs. 30 aprile 2025, n. 93, intervenendo in modo mirato sulle disposizioni originarie e ampliando il perimetro di applicazione delle misure. L’invecchiamento attivo viene così riconosciuto non più come una condizione esclusivamente legata all’età anagrafica, bensì come una dimensione che può riguardare chiunque si trovi in una situazione di vulnerabilità, indipendentemente dall’età (art. 2, co. 1, lett. a-b; art. 4).

Pur rappresentando un avanzamento significativo, tale intervento non appare ancora sufficiente a superare una questione strutturale di fondo: il modello italiano di invecchiamento attivo continua, nella sua impostazione generale, a essere prevalentemente calibrato sul raggiungimento di soglie anagrafiche, piuttosto che su una valutazione effettiva della condizione di vulnerabilità. Ci si interroga, pertanto, sulla possibilità di promuovere un invecchiamento attivo realmente inclusivo, senza riconoscere la pluralità e la complessità delle fragilità che attraversano la popolazione lavorativa, a prescindere dall’età.

In effetti, sebbene l’ordinamento italiano non abbia ancora recepito in modo pieno la nozione europea di invecchiamento attivo - fondata su un approccio multidimensionale che valorizza la salute, la partecipazione e l’autonomia - non mancano segnali di apertura.

Il d.lgs. n. 29/2024, pur mantenendo un’impostazione anagrafica, contempla misure rivolte anche a soggetti fragili, quali la valutazione multidimensionale per le persone non autosufficienti (artt. 21–33), la promozione della salute e della prevenzione (artt. 4–10), e il sostegno ai caregiver familiari (artt. 34–43). Tali interventi, sebbene non sempre esplicitamente riconducibili al concetto di invecchiamento attivo, ne condividono l’orizzonte valoriale e ne ampliano, in senso sostanziale, la portata.

Alla luce di quanto esposto, il modello italiano appare ancora in una fase di transizione: da un lato, persiste un forte ancoraggio all’età come criterio di accesso alle tutele; dall’altro, si delineano elementi di superamento, fondati sul riconoscimento della vulnerabilità come parametro giuridicamente rilevante. La sfida attuale consiste nel consolidare tale evoluzione, trasformando l’invecchiamento attivo da principio ispiratore a diritto effettivo, capace di riflettere la complessità delle condizioni di vita e di lavoro nella maturità, e di offrire risposte concrete ai bisogni di una società che, inevitabilmente, invecchia.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2025/09/27/invecchiamento-attivo-ruolo-strategico-datore-lavoro

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