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Archivio newsImpugnazione stragiudiziale del licenziamento: quando la PEC vale come la raccomandata A/R
La Corte di Appello di Bologna, con sentenza n. 223/2025, ha riconosciuto piena validità all’impugnazione stragiudiziale del licenziamento effettuata tramite PEC, equiparandola alla raccomandata A/R. La comunicazione via posta elettronica certificata, anche priva di firma digitale, è idonea a manifestare la volontà del lavoratore e rilevante ai fini del computo dei 180 giorni per il deposito del ricorso giudiziale. La decisione rafforza il valore probatorio della PEC nel contesto giuslavoristico.
Il valore della PEC è, da un punto di vista legale, equiparato a quello di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento: essa garantisce l’opponibilità a terzi dell’avvenuta consegna, l’integrità del messaggio e l’identità del mittente e del destinatario.
Tale principio generale è alla base della sentenza n. 223/2025 della Corte di Appello di Bologna la quale ha affermato che l’impugnazione stragiudiziale di un provvedimento di licenziamento per superamento del periodo di comporto anticipato al datore di lavoro attraverso l’invio di posta elettronica certificata è pienamente rilevante ai fini del computo dei 180 giorni per il deposito del ricorso giudiziale. Di conseguenza, non ha rilevanza il fatto che alcuni giorni dopo sia stata inviata al datore una lettera raccomandata, atteso che gli effetti dell’impugnazione stragiudiziale risultano essersi già verificati con la ricezione della PEC.
Il ricorso, avverso la decisione del Tribunale di Rimini, si basava su alcune considerazioni che possono così sintetizzarsi:
a) la PEC, inviata al datore, prima della lettera raccomandata, con la quale è stata resa nota la volontà di impugnare stragiudizialmente il licenziamento, andava intesa come atto di mera cortesia, inidonea ad esprimere la volontà impugnatoria, manifestatasi successivamente con la lettera A/R, spedita alcuni giorni dopo;
La PEC era inidonea a manifestare la volontà impugnatoria in quanto mancante della sottoscrizione digitale del ricorrente e del legale, come previsto dal D.L.vo n. 82/2005;
b) risultava violato l’art. 2702 c.c., in quanto il ricorrente ed il suo legale sostenevano la necessità della firma autografa quali autori della scrittura privata, ai fini di una valida impugnazione del licenziamento;
c) mancanza di valida procura in favore del legale ai fini della validità dell’impugnazione del licenziamento inviata al datore di lavoro tramite PEC: tale procura si sarebbe dovuta inviare prima del termine di decadenza.
Il datore di lavoro aveva chiesto la conferma della decisione del giudice di primo grado, ritenendo pienamente legittimo il recesso.
Il giudizio della Corte di Appello di Bologna
La Corte di Appello di Bologna considerando infondato il ricorso, ha affermato che, per prima cosa occorre relazionare l’art. 2110, comma 2, c.c. relativo al licenziamento per superamento del periodo di comporto con quanto affermato dall’art. 32, comma 2, della legge n. 183/2010 che ha esteso il regime di impugnazione previsto ex art. 6 della legge n. 604/1966 ad ogni ipotesi di invalidità del licenziamento (quindi anche al superamento del periodo di comporto), come affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 21532/2023. Ciò comporta che, ai fini della validità del ricorso giudiziale, occorre verificare l’osservanza del termine di 180 giorni dalla impugnazione stragiudiziale.
Attraverso l’invio della PEC, ove il ricorrente ed il proprio legale hanno portato a conoscenza nei rituali 60 giorni la volontà di contestare il licenziamento, si è perfezionato quanto richiesto dalla norma che, appunto, all’art. 6 della legge n. 604/1966 prevede che la comunicazione avvenga per iscritto, in qualsiasi forma, idonea a rendere nota la volontà del lavoratore: ebbene, ciò si è verificato con la PEC in scansione pdf: ed è da questo, giorno, appunto, che vanno calcolati i successivi 180 per il deposito del ricorso.
La conseguenza di tale assunto è che la lettera A/R, di alcuni giorni dopo, non può essere presa a riferimento per il computo del termine “a quo” e pertanto, il deposito del ricorso nella cancelleria del Tribunale è avvenuto oltre il termine legale previsto. La natura di tale ultimo documento è, sostanzialmente, ripetitiva di un atto di opposizione al licenziamento avvenuto con la PEC.
I giudici di Bologna affermano, inoltre, che non è necessaria la firma digitale sulla PEC, essendo sufficiente la sottoscrizione autografa del legale e del lavoratore a mo’ di conferma.
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