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Flessibilità nell’accesso alla pensione. Cosa “disegna” la legge di Bilancio 2026

Tra le intenzioni dichiarate nel periodo che ha preceduto l’architettura della legge di Bilancio 2026, c’era quella di “sterilizzare” l’incremento automatico dell’età per il pensionamento di vecchiaia in base all’aspettativa di vita calcolata dall’Istat. E, invece, nel testo bollinato troviamo una norma diversa. Novità anche per le pensioni anticipate, per Quota 103 e Opzione donna. Dunque, la legge di Bilancio impatterà in modo diretto sulla flessibilità dell’accesso alla pensione, restringendo ampiamente le possibilità di uscita anticipata. Questo, un quadro parziale che, a meno di “sterzate” rilevanti che dovessero essere attuate in fase di scrittura, è quanto dobbiamo aspettarci. Ma ci si deve porre una domanda: quale visione strategica anima le azioni dell’Esecutivo?

La legge di Bilancio 2026 ha cominciato il suo iter in Parlamento (A.S. 1689).

In primo luogo, nell’osservarne la portata, lo slancio generale della Manovra di Bilancio 2026 appare complessivamente modesto. In un contesto assai difficile a livello globale, quel che manca è una robusta spinta allo sviluppo. Questo perché le risorse che si pensa di stanziare, che includono anche i fondi del PNRR, senza il quale saremmo probabilmente in recessione, non permettono di evitare il ristagno dell’economia. Nel merito, sono chiari i dati dell’Istat che certificano, in agosto, un ulteriore calo della produzione industriale rispetto al mese precedente così come quelli della “Nota congiunturale” dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio pubblicata venerdì 24 ottobre 2025. Rischiamo, di fatto, di perdere interi settori industriali fondamentali come l’automotive - in piena crisi, certo, in tutta Europa - e la siderurgia, condizione storicamente gravissima, per un Paese industriale, anche dal punto di vista dell’occupazione oltreché produttivo. Tuttavia, quali che siano le condizioni date, manca una scintilla di reazione, di strategia e di politica industriale di fronte a questa situazione, in senso generale così come nei contenuti annunciati della legge di Bilancio.

Veniamo al punto che intendiamo approfondire: il panorama che si disegna per quel che riguarda la previdenza.

Tra le intenzioni più nettamente dichiarate nel periodo che ha preceduto l’architettura della legge di Bilancio, c’era quella di “sterilizzare” l’incremento automatico dell’età per il pensionamento di vecchiaia in base all’aspettativa di vita calcolata dall’Istat. Su questo c’erano state affermazioni non equivocabili sulla volontà di bloccare quello scatto automatico previsto per il 2027. Invece, da quell’anno, i requisiti di età e contribuzione per accedere alla pensione saranno incrementati per la maggior parte delle lavoratrici e dei lavoratori. Ad essere esentata sarà soltanto una porzione molto ristretta della platea complessiva. Ossia, coloro che svolgono attività lavorative “gravose” o “usuranti”. Andiamo nel dettaglio: dal 2027 l’età pensionabile per la vecchiaia, definita dalla legge Fornero a 67 anni, avanzerà a 67 anni e un mese. L’anno seguente, salirà a 67 anni e tre mesi. Per le pensioni anticipate, nello stesso periodo, si passerà da 42 anni e 10 mesi di contributi a 42 anni e 11 mesi nel 2027, e poi a 43 anni e un mese nel 2028. L’unico alleggerimento introdotto rispetto alle rigidità della Fornero è che l’incremento in base all’adeguamento della speranza di vita, viene, dunque, “spalmato” per ridurre l’impatto immediato. Spalmato ma non “sterilizzato”.

Nel complesso, ad essere, all’incirca sterilizzata, è quasi ogni forma di flessibilità relativa all’accesso alla pensione.

Vengono, infatti, eliminate interamente, Quota 103, introdotta da questo stesso Esecutivo, e Opzione Donna, introdotta nel 2004 dal ministro Roberto Maroni.

Dunque, la legge di Bilancio 2026 impatterà in modo diretto sulla flessibilità dell’accesso alla pensione. Si restringe ampiamente le possibilità di uscita anticipata. A trovarsi la strada chiusa saranno, in particolare, due categorie: chi ha maturato i requisiti contributivi prima dei 67 anni e le lavoratrici con situazioni di disagio come la necessità di dedicarsi a funzioni di cura.

Perciò, migliaia di lavoratori che puntavano all’uscita anticipata - programmando di usufruire della Quota 103 - dovranno, invece, aspettare di raggiungere i requisiti della pensione di vecchiaia o quelli della pensione anticipata ordinaria, la quale richiede fino a 43 anni di contributi, senza poter più usufruire della finestra flessibile dei 62 anni con 41 di contributi.

Il blocco viene imposto anche alle lavoratrici che avrebbero usufruito dell’accesso mediante Opzione Donna: come accennato sopra si tratta di caregiver, di disoccupate o di chi si trova in una condizione di fragilità sociale. Ed è bene qui ricordare che quella di Opzione Donna era una forma di accesso anticipato alla pensione, comunque, duramente penalizzante nel calcolo dell’assegno.

Veniamo alla platea di chi svolge i lavori gravosi o usuranti, un insieme, di fatto, ristretto. Per quel che riguarda i gravosi, sono lavori di particolare fatica legati all’APE sociale, unica misura di anticipo che resta intatta. I lavori usuranti sono quelli, per fare qualche esempio, che si svolgono in contesti come le cave, le miniere, le torbiere, nel sottosuolo e via elencando, che avevo disciplinato da ministro del Lavoro del secondo Governo Prodi, nel lontano 2007. Questi, conservano la vecchia quota di anticipo. Dobbiamo fare, però, presente che, per i lavori usuranti, il blocco dell’adeguamento automatico è, comunque, già previsto a legislazione vigente fino a tutto il 2026. Perciò, su questa platea, in realtà nulla cambia, né viene migliorato, rispetto a quanto già programmato.

Sommando a queste due categorie i lavoratori “precoci”, cioè coloro che hanno versato almeno un mese di contribuzione prima dei 19 anni di età, si forma una platea totale di circa 10mila persone su un totale di circa 500mila nuove pensioni erogate ogni anno. Numeri irrisori, insomma.

Veniamo al “ceto medio”, spesso richiamato da questo Governo sul piano delle intenzioni. Se, da una parte si annuncia l’abbassamento dell’aliquota IRPEF dal 35 al 33%, per coloro che hanno un’imponibile fino a 50mila euro, che produrrà un beneficio di 36 euro mensili, si dimentica che di quello stesso ceto medio, fanno parte i pensionati che hanno subìto una forte penalizzazione sul piano dell’indicizzazione dell’assegno all’inflazione, con una perdita di potere d’acquisto ben superiore al nuovo beneficio fiscale.

Questo, un quadro parziale che, a meno di “sterzate” rilevanti che dovessero essere attuate in fase di scrittura, è quanto dobbiamo aspettarci. E che va posto, come dicevamo, nella prospettiva di una situazione economica prossima alla stagnazione e nella quale l’occupazione, stando ai dati Istat di agosto, comincia ad arretrare anche in quel terziario che l’aveva trainata negli ultimi anni.

Se la prudenza del “buon padre di famiglia” nell’amministrazione dei conti è, in astratto, cosa buona, alla concreta luce dei fatti ci si deve pur porre qualche domanda su quale visione strategica animi le azioni dell’Esecutivo.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2025/11/08/flessibilita-accesso-pensione-disegna-legge-bilancio-2026

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