Con la sentenza n. 159 del 2025, la Corte Costituzionale denuncia l’esclusione delle madri con contratti a termine o di lavoro domestico dal bonus contributivo previsto dalla legge n. 213/2023. Pur non potendo estendere il beneficio, la Consulta invita il legislatore a intervenire per garantire equità e coerenza nelle misure di sostegno alla maternità.

La Corte Costituzionale, nella sentenzza n. 159 del 31 ottobre 2025 si è schierata apertamente a favore delle madri assunte a tempo determinato, definite “la sola categoria del tutto esclusa da ogni beneficio”.

Esaminando il ricorso del Tribunale di Milano contro i commi 180 e 181 dell’art. 1 della legge n. 213/2023, la Consulta ha rilevato come il bonus mamme, che prevede l’esonero totale dei contributi previdenziali per le lavoratrici a tempo indeterminato, lasci invece fuori le lavoratrici a tempo determinato e le colf.

Pur dichiarando inammissibile l’estensione del beneficio per limiti di competenza, la Corte ha rivolto un duro monito al legislatore, invitandolo a “dare coerenza sistematica” alle politiche di sostegno alla maternità, in un Paese “dal tasso di natalità tra i più bassi d’Europa”.

La Consulta sottolinea inoltre che il beneficio attuale finisce per favorire “le categorie più abbienti”, non prevedendo limiti di reddito e fissando solo un tetto massimo di 3.000 euro, mentre le madri precarie con redditi oltre 2.692 euro restano completamente escluse.

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Corte Costituzionale, sentenza 31/10/2025, n. 159

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2025/11/11/bonus-mamme-diritto-estendere-madri-precarie