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Archivio newsLavoro subordinato: una rivoluzione in arrivo? Si auspica al più presto
Una legge rivoluzionaria, con una portata storica, che introduce per la prima volta in Italia il rispetto di una retribuzione minima oraria, estendendo l’efficacia dei contratti collettivi a tutti i lavoratori. Si tratta della legge n. 144/2025. Ma ovviamente, per formulare un giudizio definitivo sulla portata della riforma, bisogna attendere il decreto (o i decreti) delegati. Solo sei mesi per l’attuazione della riforma: ma il legislatore ha disposto la possibilità di un’ulteriore proroga al 4 luglio 2026, data entro cui la norma costituzionale troverà attuazione finale, e un ulteriore termine per l’emanazione di eventuali decreti correttivi e integrativi, portando a luglio 2027 il termine finale per la sua effettiva entrata in vigore. Un intervallo, insomma, forse troppo lungo anche per una riforma così delicata ed importante!
A distanza di oramai quasi ottanta anni dalla promulgazione della Costituzione italiana con la recente legge 26 settembre 2025, n. 144 è stata attribuita “Delega al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva”.
Se l’intitolazione appare dimessa, e quasi anonima, e manca ogni riferimento alla direttiva europea in tema di salario minimo - Direttiva (UE) 2022/2041, già dall’esordio del comma 1 dell’art. 1 della legge n. 144/2025 però si avverte la portata storica della legge, poiché si afferma che il provvedimento ha come fine quello «di garantire l'attuazione del diritto dei lavoratori ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, ai sensi dell'articolo 36 della Costituzione, rafforzando la contrattazione collettiva e stabilendo criteri che riconoscano l'applicazione dei trattamenti economici complessivi minimi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati».
Ascolta il video di Massimo Brisciani “Retribuzioni minime e contrattazione collettiva: la legge delega risolverà tutti i problemi?”
L’impatto, come si può intuire, è rilevantissimo, se non rivoluzionario, poiché viene ad essere introdotta per la prima volta in Italia una legislazione che impone il rispetto di una retribuzione minima oraria, estendendo di fatto per questo aspetto l’efficacia dei contratti collettivi a tutti i lavoratori.
Anzi, a leggere bene la legge delega, sembrerebbe che il futuro provvedimento che verrà ad essere emanato dall’Esecutivo, nell’assicurare (comma 2, lett. a) «la condizione economica minima da riconoscere ai lavoratori appartenenti alla medesima categoria», venga a regolare anche i superiori livelli operai ed impiegatizi, secondo un modello che conduce di fatto (con non pochi dubbi in ordine alla sua legittimità costituzionale) all’estensione dell’efficacia del contratto collettivo a tutti coloro che appartengano ad una certa “categoria produttiva” (nel senso cioè dell’art. 2070 e non dell’art. 2095 c.c.).
Ovviamente per poter formulare un giudizio definitivo sulla portata e sull’impatto della riforma, bisognerà attendere il decreto (o i decreti) delegati: ampio è, infatti, lo spazio che è lasciato all’Esecutivo sul piano dei principi e criteri direttivi cui improntare il provvedimento di riforma. La legge, al comma 2 dell’art. 1, infatti, chiede che il provvedimento finale debba «definire, per ciascuna categoria di lavoratori, i contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati in riferimento al numero delle imprese e dei dipendenti» (lett. a) e «stabilire per le società appaltatrici e subappaltatrici, negli appalti di servizi di qualunque tipo e settore, l'obbligo di riconoscere ai lavoratori coinvolti nell'esecuzione dell'appalto trattamenti economici complessivi minimi non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati nel settore al quale si riferisce l'oggetto dell'appalto» (lett. b).
Si va in questo senso nella direzione di una applicazione generalizzata del contratto che ha maggiore diffusione nel settore interessato, con buona pace dei cc.dd. contratti “pirata” (sottoscritti, cioè, da associazioni sindacali con scarsa capacità di rappresentanza), anche se non è del tutto chiaro sulla scorta di quali criteri verrà perimetrato il settore, specialmente per quei settori (e sono tanti) che sono normati da una pluralità di contratti collettivi. Si pensi, in questo senso, alle mansioni di trasporto merci, o alla loro movimentazione manuale o alla cura del verde o alla pulizia degli ambienti, che trovano disciplina in una pluralità di contratti collettivi, tutti sottoscritti dalle associazioni sindacali più importanti.
E, seppure sia vero che la lettera e) dello stesso comma 2 fa riferimento, a tali fini, ai flussi telematici UNIEMENS in atto utilizzati anche per il riconoscimento di agevolazioni economiche e contributive connesse ai rapporti di lavoro, resta che non esiste una definizione di categoria univoca, né una norma che imponga alle imprese il divieto di modificare il CCNL applicato, come al contrario sempre più spesso avviene nella prassi, soprattutto in relazione agli obblighi a riguardo già previsti dal codice degli appalti per le pubbliche amministrazioni.
Peraltro, il disegno del legislatore non si ferma qui perché, nell’ambito dei criteri di delega, altri obiettivi vengono individuati, così: da rafforzare le misure di verifica e di controllo nei casi di appalti pubblici (sempre lett. b); da estendere i trattamenti economici complessivi minimi dei CCNL «ai gruppi di lavoratori non coperti da contrattazione collettiva, applicando agli stessi il contratto collettivo della categoria di lavoratori più affine» (lett. c); da favorire il progressivo sviluppo della contrattazione di secondo livello con finalità adattive (lett. d) e da assicurare il mantenimento del potere di acquisto dei salari in caso di mancato tempestivo rinnovo dei contratti collettivi (lett. f e g). E ci si ferma qui, perché l’elenco continuerebbe ancora e riguarda anche «la vigilanza del sistema cooperativo, con particolare riguardo alle revisioni periodiche per la verifica dell'effettiva natura mutualistica» (lett. h) e la partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili dell'impresa (lett. i)
Un programma, quindi, che tocca quasi tutti i punti che negli ultimi cinquanta anni sono stati al centro del dibattito legislativo ed accademico e che, per la sua vastità, non può, ove i lavori di redazione dei decreti delegati non abbiano ad iniziare tempestivamente, che far sorgere qualche dubbio sulla reale capacità dei ministeri coinvolti (Lavoro e MEF) di dare coerente e concreto seguito alla delega ricevuta.
La legge n. 144/2025 attribuisce, infatti, solo sei mesi per l’attuazione della riforma, prevedendo un coinvolgimento del Parlamento nella procedura di emanazione dei decreti legislativi chiamati a dare concreta attuazione alla delega, nel senso che questi dovranno, prima della definitiva entrata in vigore, essere trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti.
Il legislatore, tuttavia, nella consapevolezza che difficilmente i termini previsti per legge sono rispettati nella prassi, ha disposto la possibilità di un’ulteriore proroga per altri novanta giorni, fissando così al 4 luglio 2026 la data finale entro cui la norma costituzionale troverà attuazione finale.
Peraltro, sempre a mente delle tante riforme imperfette licenziate dai governi che si sono succeduti negli ultimi tre decenni, si prevede un ulteriore termine di un anno per l’emanazione di ulteriori decreti «contenenti disposizioni correttive e integrative dei decreti legislativi» adottati ai sensi della legge n. 144/2025, portando così al luglio 2027 il termine finale per l’effettiva entrata in vigore della riforma.
Un intervallo, insomma, forse troppo lungo anche per una riforma così delicata ed importante!
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