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Salario minimo: l’Italia è allineata con l’UE?

La Direttiva sui salari minimi adeguati non interferisce con la determinazione delle retribuzioni nazionali, ma impone agli Stati membri di promuovere la contrattazione collettiva. E’ quanto deciso dalla Corte di Giustizia UE C-19/23. Pertanto, è d’obbligo una riflessione sulla legge n. 144/2025. Il Legislatore ha seguito in modo conforme i principi della Direttiva? Dei dubbi possono sorgere in quanto Governo e Parlamento hanno agito sino a questo momento senza un reale coinvolgimento delle parti sociali. Forse occorre rimettere mano alla legge delega…

Lo scorso 11 novembre 2025, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) ha resa nota la sua decisione in merito al ricorso (C-19/23) proposto dalla Danimarca (ed appoggiato dalla Svezia) per vedere annullata la Direttiva relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea (Dir. UE 2022/2041).

La Corte ha confermato la validità della Direttiva ritenendo che l’iniziativa dell’Unione si basi sull’impegno assunto in sede europea di migliorare le «condizioni di lavoro» e di vita dei lavoratori (art. 153.1 TFUE), di modo che non vi sarebbe né una diretta determinazione delle retribuzioni a livello europeo, né alcuna interferenza con gli ordinamenti nazionali e con il diritto di associazione al sindacato (e cioè in materie che i Trattati escludono dalla competenza UE).

La sola parte della Direttiva in cui la Corte ha riscontrato uno straripamento dalle competenze fissate dai trattati riguarda quelle norme, che sono state di conseguenza annullate, mediante le quali si indicavano criteri prescrittivi per la determinazione dei salari minimi e per il loro aggiornamento (art. 5).

È solo la prima parte della decisione che riguarda il nostro ordinamento, là dove si conferma la validità della Direttiva, poiché le parti annullate dalla sentenza riguardano quei paesi (e fra questi non è presente l’Italia), che hanno un salario minimo legale e cioè un sistema che impone alle parti collettive di rispettare un valore minimo orario o mensile.

Tuttavia, la decisione non è priva di rilievo anche per il nostro ordinamento, là dove la Direttiva impone comunque a tutti gli stati (e quindi anche a quelli che assicurano nei fatti una larga applicazione della contrattazione collettiva) di adoperarsi per la promozione della contrattazione collettiva, al fine di assicurare la fissazione (e l’applicazione) di salari minimi adeguati.

Ed infatti, la Direttiva lascia ai singoli Stati la scelta o di intervenire direttamente (fissando un salario minimo) o, parimenti, continuare ad affidare la materia alle parti collettive, solo obbligando, in questo secondo caso, «gli Stati membri, con la partecipazione delle parti sociali e conformemente al diritto e alle prassi nazionali» ad intervenire per promuovere «lo sviluppo e il rafforzamento della capacità delle parti sociali di partecipare alla contrattazione collettiva», assicurando che le associazioni dei lavoratori e dei datori «abbiano accesso a informazioni adeguate per svolgere le loro funzioni in materia di contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari» così da incoraggiare «negoziazioni costruttive, significative e informate sui salari».

In questo senso, è certamente vero che la scelta di non predisporre una specifica legge di trasposizione della Direttiva appare del tutto legittima, poiché si è affermato che il grado di “copertura” della contrattazione collettiva supera in Italia il 95%.

Tuttavia, qualche riserva suscita la circostanza che Governo e Parlamento abbiano sino a questo momento agito senza un reale coinvolgimento delle parti sociali, tanto che la recente legge n. 144 del 26 settembre 2025, che conferisce “deleghe al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori” è stata approvata a seguito a seguito dell’integrale sostituzione dell’originaria proposta di legge operata da una proposta emendativa della maggioranza parlamentare.

In questo senso, non si deve dimenticare che la Direttiva 2041 dedica una disposizione apposita a riguardo, prevedendo all’art. 10 un costante “monitoraggio e raccolta dei dati” anche quando, come nel nostro caso, la tutela garantita dal salario minimo sia prevista esclusivamente dai contratti collettivi. La legge 144 del 2025, all’art. 2 prevede una delega al Governo su questo specifico punto, ma, a parte il ritardo con cui è stata adottata, si tratta di una previsione intesa più a rafforzare i controlli dell’Ispettorato nazionale che a promuovere lo scambio di informazioni fra le parti. In questo senso, sarebbe bene se continuasse la recente convergenza fra CNEL e INPS, utile al fine di mappare la diffusione dei contratti collettivi e di contrastare il ricorso alle forme di pirateria che si erano diffuse negli ultimi anni.

Parimenti non si deve dimenticare che la Direttiva 2041 individua nelle gare operate dalle stazioni appaltanti pubbliche la sede di una possibile azione a sostegno della contrattazione collettiva, imponendo che l’aggiudicazione avvenga a beneficio delle imprese che non risparmiano sui salari. A riguardo, infatti, l’art. 9 stabilisce che «gli Stati membri adottano misure adeguate a garantire che gli operatori economici e i loro subappaltatori, nell’aggiudicazione ed esecuzione di appalti pubblici o contratti di concessione, si conformino agli obblighi applicabili concernenti i salari, il diritto di organizzazione e la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, nel settore del diritto sociale e del lavoro, stabiliti dal diritto dell’Unione, dal diritto nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali».

Anche in questo caso, non si può certo dire che sia mancata una iniziativa legislativa, a fronte delle previsioni di recente introdotte dal c.d. codice degli appalti pubblici (D.lgs. n. 36 del 2023), anche se il sistema di individuazione del contratto collettivo da applicare sembra soffrire ancor oggi di qualche imprecisione conseguente alla circostanza che, per molti settori, la contrattazione collettiva si articola su plurime categorie di imprese (sicché, per fare un esempio peraltro già preso in esame e risolto in sede amministrativa, nell’edilizia si registrano contratti collettivi diverse per le grandi e le piccole imprese, per il settore delle cooperative e per l’artigianato).

In conclusione, sarebbe bene se, a fronte della conferma della validità della Direttiva (che era tutt’altro che scontata, atteso il parere di segno contrario che era stato rilasciato dall’Avvocato generale chiamato ad istruire il giudizio della Corte europea), si rimettesse mano alla materia, anche in vista della scadenza delle deleghe previste dalla legge n. 144/2025, oramai vicina.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2025/12/13/salario-minimo-italia-allineata-ue

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